A Dorte Mandrup, Anupama Kundoo, Martin Rauch, Gilles Clément e allo studio Yalin il riconoscimento 2022 del Global Award for Sustainable Architecture. Sono dunque cinque gli architetti e designer premiati dalla promotrice Cité de l’architecture et du patrimoine Paris per il proprio impegno e il rispettivo lavoro a favore di un’architettura più sostenibile ed etica, ma anche per una ricerca, per una sperimentazione e per una trasmissione di saperi e di sensibilità a vantaggio del Pianeta e della qualità della vita su di esso.
Il Global Award for Sustainable Architecture, fondato nel 2006 dall’architetto Jana Revedin e sotto l’alto patrocinio dell’Unesco, è stato infatti assegnato nel corso degli ultimi 15 anni (a partire dal 2007) a oltre 70 architetti di tutto il mondo, dalla Namibia al Giappone, dalla Giordania all’Equador, dalla Francia alla Thailandia, dalla Malesia all’Islanda e tanti altri Paesi.
«Il territorio: minaccia od opportunità?», è la domanda intorno alla quale si sono dispiegate le riflessioni di questa edizione, un anno di crisi climatica, sociale ed economica in cui l’architettura è chiamata a giocare la propria partita di responsabilità. Gli architetti, a loro volta, hanno l’onere di prevedere e proporre modelli abitativi adeguati, rispettosi dei tanti parametri storici, ambientali, territoriali e culturali che vanno a sommarsi in un unico angolo di mondo.
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Dorte Mandrup, danese classe 1961, si è fatta conoscere per i suoi progetti in climi estremi, come nel caso della Groenlandia, e per il suo approccio all’architettura con occhio ecologico. Da qui deriva anche la propensione a utilizzare materiali dal basso impatto ambientale e poco inquinanti, come il legno e la paglia. Progetti che dunque ricordano, attraverso vari tasselli, l’insostituibilità di una natura da proteggere. «Ma il fatto che qualcosa sia insostituibile non significa che sia anche intoccabile – ha precisato Mandrup –, tuttavia è importante che ogni intervento architettonico sia progettato e realizzato per una specifica regione, evidenziandone e valorizzandone il paesaggio. Il primo passo per proteggere un luogo è capire cosa vi sia in gioco. L’ambizione di un architetto, pertanto, deve essere sempre quella di riuscire a restituire più di quanto si possa trarre». Tra i suoi progetti più iconici, The Whale ad Andenes, in Norvegia.
L’architetto di origini indiane Anupama Kundoo, nata nel 1967 e formatasi tra Mumbaï e Berlino, ha fatto della battaglia per il right-tech – più che per l’high-tech – il filo rosso della sua progettazione e del suo approccio. Sviluppo, nella sua filosofia, è sinonimo di sostenibilità, rifiutando dunque l’idea che l’accesso all’innovazione e alle tecnologie sia ad appannaggio di pochi. Valorizzandone le risorse, ogni territorio potrebbe essere in grado di fornire il necessario alla vita della propria comunità, è la sua convinzione; di riflesso ogni riferimento al concetto di minaccia collegato a un luogo è il frutto di una distorsione dei rapporti di co-esistenza tra uomo e natura: un certo tipo di edilizia contemporanea, dal consumo inconsapevole e incontrollato di suolo, «minaccia non solo la vita degli uomini, ma di quella di tutte le specie», ha sottolineato. Un esempio di questo suo approccio al costruire è dato dal Creativity Co-housing di Auroville, in India.
Il percorso verso l’architettura e l’edilizia di Martin Rauch parte da lontano, parte dall’argilla e dalla passione per l’attività di ceramista. Il volontariato in Africa, tra una popolazione affascinante e la bellezza delle capanne di fango, ha segnato una svolta nella sua propensione verso materiali e tecniche tradizionali; e allora, al suo ritorno in Austria – sua terra natale – ha iniziato a indagare l’architettura europea in terracotta. Un gesto che l’ha portato anche a salvare tante tecniche dal rischio dell’oblio. Convinto esteta ed ecologista, parte dalla lavorazione dell’argilla e dalla sua estrazione in loco per ristabilire un contatto e un’armonia tra paesaggio e costruito. Artigiano o architetto? «A volte faccio persino fatica a descrivere la mia professione – ha ammesso lo stesso Rauch –: mi sento un artigiano, ma un artigiano deve essere anche un costruttore. All’inizio della carriera, questa doppia veste di artigiano e di artista mi ha lasciato un’enorme libertà creativa nel realizzare edifici di grandi dimensioni». Le regole sono cambiate negli anni, rendendo alcuni passaggi assai più complicati, ma ci vuole comunque un gruppo di professionisti coraggiosi nel costruire edifici innovativi e al passo con le esigenze del presente. Tanti i progetti sperimentali in materiali naturali e dalle forme inusuali; e poi vi è, tra gli altri, Rauch House a Schlins, in Austria.
Ingegnere e botanico, architetto del paesaggio, Gilles Clément è una voce importante dell’attuale dibattito ecologico globale, a partire da un’esperienza empirica di lavoro in città e aree rurali per una loro “rinascita ecologica e sociale”. Una voce autorevole che ha influenzato anche le scelte di decisori politici, altri architetti, paesaggisti; e le cui parole hanno trovato ulteriore risonanza nelle pagine dei suoi libri. The Planetary Garden o Manifesto of the Third Landscape sono solo due esempi. Le Salon des Berces è invece ispirato alla sua regione in Nuova Aquitania, il dipartimento di Creuse in Francia, dove ha realizzato una sorta di home garden. Ma Gilles Clément è anche un instancabile insegnante, convinto dell’importanza del circolo virtuoso che viene a crearsi tra docenti e discenti: «Insegnare è imparare – ha sottolineato –. Ritengo che ci siano tre fonti di insegnamento: il giardino, perché si scopre ogni giorno qualcosa di nuovo; i viaggi, perché si comprende a fondo il proprio luogo di vita al ritorno da un viaggio; e gli studenti, perché fanno domande che non ci si aspetta. Queste domande costringono a cercare risposte». Tra i suoi progetti più importanti vi è Garden of the third landscape, un giardino a Saint-Nazaire, in Francia, ricavato su un’antica base militare.
In turco yalin significa umiltà, semplicità; ed è da qui che deriva il nome dello studio fondato nel 2011 da Ömer Selçuk Baz e dall’urbanista Okan Bal. Il loro obiettivo è combattere i “crimini urbani” della Turchia, contrastare la quasi totale assenza di regolamentazione e la distruzione di un patrimonio artistico e culturale dal valore inestimabile in nome di quella che loro stessi definiscono “architettura da vetrina”. Per questo i maggiori lavori di Yalin si concentrano sulla ristrutturazione di siti naturali e culturali, con un’attenzione che prosegue anche dopo la fine dei lavori: un progetto connesso con la geografia, il genius loci e l’attività umana. Uno dei progetti più ambiziosi è quello del Museo regionale della Cappadocia: «Ospitato in una vecchia cava all’interno di una gigantesca parete di roccia, proprio come le persone che vi abitavano migliaia di anni fa, l’idea perseguita è stata quella di organizzare le cavità scavate nella roccia per essere utilizzate come museo – hanno spiegato dallo studio –. In questo senso reinventiamo le antiche tecniche di costruzione in chiave contemporanea, per poi formare muratori, artigiani, giardinieri» di oggi e di domani.
La cerimonia di premiazione del Global Award for Sustainable Architecture il 13 ottobre alla presenza della direttrice della Cité de l’architecture et du patrimoine, Marie-Hélène Contal. Dal 14 ottobre 2022 al 30 gennaio 2023, poi, una mostra espositiva dedicata ai cinque “ambasciatori” della sostenibilità.
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