«Le mie opere sono un’estensione della mia vita, della mia filosofia e dei miei sogni, con l’obiettivo di creare un tesoro dello spirito architettonico. La mia convinzione è che la vita si celebri quando lo stile di vita, il lifestyle e l’architettura si fondono». Dopo una vita rivolta – con profondo senso di responsabilità e impegno nel migliorare la vita delle persone – all’architettura e all’insegnamento, si è spento a 95 anni Balkrishna Vithaldas Doshi, l’architetto di origine indiana che ha saputo segnare il corso del Novecento e dei primi anni Duemila come pochi altri prima di lui. Proprio per aver esercitato «l’arte dell’architettura» e per averne esplicitato il contributo nei confronti dell’umanità, nel 2018 è stato insignito del Pritzker Architecture Prize, un riconoscimento per gli oltre cento progetti già allora firmati e portatori di questi stessi valori. E, ancora, nel 2022 ha ricevuto il Riba Gold Medal, un omaggio al suo lavoro pionieristico di combinazione tra modernismo e tradizione vernacolare, ma anche al suo approccio visionario alla pianificazione urbana, ai progetti di social housing e all’educazione, tale da influenzare la direzione dell’architettura indiana e delle zone limitrofe.
Nato a Pune, in India, nel 1927, Balkrishna Doshi è cresciuto accanto a due maestri quali Le Corbusier e Louis Kahn, i quali hanno lasciato le proprie tracce e i rispettivi lasciti nei lavori dell’architetto indiano soprattutto della sua prima fase. Tuttavia, ben preso ha iniziato a sviluppare un proprio personale linguaggio, basato principalmente sulla conoscenza profonda e l’amore per la cultura, la tradizione del suo Paese, l’artigianato locale. La sua architettura, dunque, non si è mai mostrata appariscente oltre i limiti, esagerata o troppo legata alle tendenze contingenti: al contrario, è sempre stata un’architettura responsabile e autentica. Ma i suoi progetti sono quindi anche espressione del suo spirito libero, lontano da pure ideologie, ricchi al contrario di un pragmatismo capace di dare forma alla regionalità e alla sua essenza; espressione della capacità di esprimere la natura di un luogo.
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Nel 1956 Doshi ha fondato il suo studio, chiamato Vastushilpa e cuore di uno dei suoi successivi maggiori sforzi, ovvero il campus Sangath ad Ahmedabad: è qui che nel tempo è riuscito a fondere tradizione e continua evoluzione ed è sempre qui che, come ha più volte raccontato lo stesso architetto, «si impara, si disimpara e si re-impara. È diventato un santuario della cultura, dell’arte e della sostenibilità, dove si privilegiano la ricerca, le strutture istituzionali e la massima sostenibilità».
Tra i numerosi progetti da lui firmati vi sono edifici amministrativi, pubblici, scolastici, nonché destinati alle istituzioni culturali. Alcuni di questi sono il Shreyas Comprehensive School Campus di Ahmedabad, la Atira Guest House della stessa città in mattoni locali, The Institute of Indology per la conservazione di documenti e manoscritti rari, l’Ahmedabad School of Architecture rinominata CEPT University nel 2002 e caratterizzata da ampi spazi collaborativi e laboratori, il Tagore Hall & Memorial Theatre, l’Amdavad ni Gufa, un luogo espositivo simile a una grotta sotterranea per le opere dell’artista Maqbool Fida Husain. Ecco, l’emblema della giustapposizione unica tra arte e architettura.
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«È stato come tornare a casa, sebbene non sia stata molte volte in India, Doshi e la sua famiglia mi hanno abbracciato, si sono presi cura di me, mi hanno accompagnato e, con il solo fatto di essere loro stessi, mi hanno circondato di amore, come un membro della famiglia», è il ricordo di Martha Thorn, risalente a uno dei suoi ultimi viaggi alla vigilia dello scoppio della pandemia. «Questa generosità di spirito era sempre presente in tutto ciò che Doshi faceva. Il suo grande rispetto e la sua fede nelle persone erano evidenti nel suo approccio all’architettura e alla vita. Ci mancherà, ma vivrà per sempre attraverso le numerose vite che ha toccato. Ha mostrato a tutti noi il grande potere del cuore, che guida la mente e le mani».
«Il lavoro del prof Doshi riflette la sua ricerca di un’architettura moderna radicata nel contesto indiano. Ha plasmato la direzione dell’architettura sia con la sua pratica che con l’insegnamento. L’edificio della Scuola di Architettura della CEPT University è uno dei migliori esempi non solo del suo approccio all’architettura, ma anche della grande tradizione dell’architettura moderna in India. Tutti noi della CEPT University, e io personalmente, siamo profondamente addolorati per la sua scomparsa», conclude il presidente dell’Università, Bimal Patel.
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