Il metodo di lavoro di Openstudio Architects, da me fondato, consiste nel mettere in relazione le persone con il proprio ambiente. Riteniamo esista un rapporto tra la sensazione di benessere e di appagamento che si prova in un luogo e il senso di responsabilità verso quel luogo e verso l’ambiente nel suo complesso.
Sappiamo che gli edifici contribuiscono al 38% delle emissioni globali di CO2: il carbonio incorporato è responsabile del 10%, quello operativo del 28%. Questo rappresenta per gli architetti un’opportunità non solo per promuovere il cambiamento in termini di tecnologie e materiali edilizi, ma anche per progettare edifici che coinvolgano le persone, favoriscano il benessere e siano apprezzati nel lungo periodo. Se gli edifici soddisfano gli obiettivi di riduzione delle emissioni di anidride carbonica in fase di costruzione ma sono privi di anima, identità e legame con il luogo, la loro demolizione è pressoché inevitabile. Oltre a essere dannoso dal punto di vista ambientale, il ciclo di ricostruzione rischia di creare ambienti che diventano sempre più estranianti per coloro che li abitano, compromettendo il senso di appartenenza e di comunità.
In un’epoca di cambiamenti climatici, creiamo linguaggi specifici per ciascuno dei nostri edifici. Essi si sviluppano perseguendo un percorso di ricerca e di comprensione della storia del luogo in cui andiamo a costruire la consapevolezza del potenziale poetico della responsabilità indotta dal problema climatico per definire un ponte tra persone e luoghi. Analizziamo le specificità del passato, del luogo, dei materiali, del clima, delle stagioni, della luce e del buio. Questo processo progettuale porta alla creazione di strutture stratificate che si evolvono nel tempo con il loro utilizzo. Esso non tiene conto solo delle numerose sfide del costruire al giorno d’oggi, tra cui la riduzione dell’impronta di carbonio, ma integra anche le conseguenze visibili di questo modo di pensare nell’opera stessa, al fine di sviluppare identità uniche che radicano gli edifici nel loro contesto.
Promuoviamo un modus operandi così specifico e unico da permetterci di interrompere le nostre attività e fermarci a pensare. Per consentirci di stabilire una comunicazione tra le persone e l’ambiente abbiamo bisogno di un forte richiamo che ci induca a una pausa di riflessione prima di immergerci nella progettazione. Abbiamo bisogno che i nostri edifici agiscano da stimolo, esortandoci a concentrarci e interagire con ciò che stiamo vedendo e vivendo al fine di comprendere dove ci troviamo. Vogliamo creare edifici che trasformino le persone da consumatori passivi a partecipanti attivi e che attraverso questo processo le facciano sentire investite della responsabilità verso il proprio ambiente.
Openstudio Architects ha sede a Londra, ma io sono cresciuta a Johannesburg, in Sudafrica, un tempo e tuttora luogo di disuguaglianze strutturali in cui storicamente gli edifici e i paesaggi sono stati usati per separare le persone dai luoghi. A me era parso evidente che tutto era interconnesso; che la lingua, l’arte, la poesia, le leggi, le regole, l’assetto urbano, la politica, il movimento e l’insediamento delle persone facessero parte di un unico intreccio in cui venivano costruiti e vissuti gli edifici. Fondamentalmente mi interessa capire le interrelazioni tra questo contesto più ampio e la pratica architettonica, e gli effetti sul significato e l’esperienza culturale di edifici e luoghi. Il libro The Frightened Land, pubblicato nel 2006 (stesso anno di fondazione di Openstudio Architects), si basa sulla mia ricerca sul contesto generale in cui nascono gli edifici e gli spazi e sul modo in cui vengono percepiti come significativi all’interno di tale contesto. Come progettisti, portiamo con noi la nostra storia. La mia reazione al luogo in cui sono cresciuta è stata il desiderio di creare edifici robusti e poetici in cui tutto è connesso in un luogo integro e storicamente longevo, in cui le connessioni nascoste sono rese evidenti con discrezione e in cui le persone possono sentirsi radicate al luogo.
La mia passione per le strutture fisiche e il fascino per il modo in cui riescono a dare forma a uno spazio, provocare emozioni e interagire con i nostri sensi – dando vita a esperienze condivise ma anche a connessioni personali – mi hanno portato a diventare architetto. Mi piace il modo in cui ci consentono di notare le variazioni di luce, il tocco di freschezza che il mattone o la pietra conferiscono agli interni in una giornata calda, lo scricchiolio di un pavimento in legno o il suono della pioggia sulle lamiere ondulate del tetto. L’architettura può avvolgerci, ricordandoci di osservare e di essere vigili, e ci consente di usare tutti i nostri sensi per vivere appieno l’esperienza di un ambiente particolare.
Sono queste le circostanze in cui lavoriamo come architetti; siamo altresì consapevoli di dover affrontare, con il nostro lavoro, questioni politiche, sociali e ambientali, oltre alle realtà del sito, dello spazio, dei materiali, delle tecnologie e delle esperienze sensoriali del singolo individuo. I nostri edifici diventano oggetti fisici e luoghi completi che riuniscono tutte le decisioni prese durante la progettazione e la costruzione in un ambiente che vivrà indipendentemente da noi e che assumerà una vita che non possiamo controllare e un futuro che non possiamo immaginare.
L’aspetto economico è centrale nel lavoro di Openstudio Architects, forse perché, come molti collaboratori, provengo da un luogo con meno risorse rispetto al Nord Europa. Per noi economia non significa solo fare un uso attento delle risorse – all’interno del progetto e per quanto riguarda il clima – ma anche riscoprire il senso poetico di un luogo “facendo di più con meno”, dando priorità ed enfatizzando le esperienze quando progettiamo. Economia vuol dire anche integrare le complessità, componenti inevitabili della progettazione, e farle apparire come soluzioni semplici che si stratificano e acquistano significato man mano che le persone vivono i luoghi che creiamo.
Il nostro obiettivo è creare architetture che diventino rilevanti e siano indirizzate agli utenti ma siano anche parte integrante del contesto in cui si trovano. Cerchiamo di creare linguaggi architettonici specifici del luogo e dell’edificio, non espliciti, ovvi, stravaganti o didattici, ma che inducano sensazioni inaspettate.
Il nostro obiettivo di creare emozioni attraverso l’architettura deve tuttavia affrontare questioni pratiche legate alla progettazione e alla costruzione: da un lato perseguiamo risultati immateriali e inafferrabili, dall’altro dobbiamo costruire edifici e luoghi ben definiti e con materiali fisici. Siamo convinti del significato che può assumere l’edificato, delle esperienze che crea, attraverso un’attenzione particolare a come e cosa viene realizzato durante l’intero processo di progettazione e costruzione.
La sostenibilità è fondamentale per il modo in cui il costruito connette le persone al proprio ambiente. Non si tratta solo di come sono fatti – materiali e tecnologie – e di come funzionano, ma anche di come la disposizione e gli spazi possono supportare strategie ambientali passive, di come sono esposti alle intemperie, di fattibilità economica in termini di costruzione e manutenzione, di flessibilità e facilità di adattamento e cambiamento nel tempo. Infine ci sono le questioni più intangibili e delicate: si tratta di edifici utili? Sono collegati alla città, al territorio o al paesaggio, contribuiscono al loro benessere in un modo che al tempo stesso racconta la storia e anticipa un futuro ignoto? Gli edifici più sostenibili sono quelli amati e che diventano parte intrinseca del luogo in cui sono stati costruiti; sono quelli progettati per essere abbastanza resistenti da poterli adattare senza doverli sostituire.
La Swartberg House nel deserto del Karoo, in Sudafrica, è una casa passiva il cui linguaggio architettonico poetico deriva dallo studio attento dell’ambiente e del clima. Per mantenere il comfort termico, le temperature estreme estive e invernali richiedono ai residenti di regolare la casa in base ai cambiamenti ambientali esterni; queste azioni rafforzano il legame tra l’ambiente interno e il mondo esterno, integrando la consapevolezza del paesaggio e del clima nella struttura dell’edificio e nel modo in cui viene vissuto. Il Karoo è uno dei più antichi paesaggi del mondo, dove la scarsa presenza umana e la mancanza di industrie hanno come risultato un buio profondo e cieli stellati. Creare un luogo che consenta al buio di esistere e che filtri l’intensa luce solare estiva porta alla consapevolezza della natura del deserto e a vivere consapevolmente lo spazio abitativo.
La struttura, disposta lungo l’asse est-ovest e con grandi aperture rivolte a nord verso la luce solare dell’emisfero australe, fa affidamento su un sistema di isolamento altamente performante e sulla massa termica delle spesse pareti in mattoni per mitigare le temperature estreme del deserto. Il sistema di ombreggiamento e le ampie vetrate regolano l’apporto solare. La casa viene aperta e chiusa durante il giorno, in estate per regolare l’apporto di calore – catturando la brezza serale all’interno – e in inverno per consentire lo sfruttamento della luce solare attraverso la ritenzione del calore dei raggi solari nella pavimentazione in mattoni scuri.
La casa è stata progettata per essere costruita con materiali semplici e locali; ripropone texture ed elementi familiari in modi insoliti, non comuni, per favorire la consapevolezza e il coinvolgimento. Per esempio le aperture verticali che localmente vengono usate come sfiatatoi negli edifici agricoli qui appaiono come elementi disposti apparentemente in modo casuale, la cui disposizione si basa tuttavia sulla posizione delle stelle nelle costellazioni visibili nel cielo limpido e buio. Per gli interni e gli esterni della casa è stato usato un intonaco grezzo a base di calce lavorato a mano, tipico di molti edifici storici del Karoo, il cui impasto ne ammorbidisce la consistenza dandogli un aspetto antico e allo stesso tempo contemporaneo. L’uso uniforme di materiali grezzi e tipicamente per esterni all’interno e all’esterno crea un legame tra la casa e gli edifici agricoli, evitando la levigatezza e il senso di comfort che caratterizzano molti ambienti domestici contemporanei.
In modo analogo, l’edificio si collega alla struttura organica del paesaggio attraverso slittamenti e rotazioni in pianta e la posizione delle aperture in base alle viste sulle colline e le montagne. Ne risulta una forma geometrica libera e imperfetta che rispecchia le irregolarità del mondo naturale. Ciò influisce sul modo in cui l’immobile viene vissuto: al posto di forme statiche e perfettamente bilanciate e prospettive lineari, la compressione e l’espansione dello spazio generano un percorso più fluido all’interno della casa, creando un’esperienza analoga a una passeggiata nel paesaggio.
Attraverso una serie di riferimenti alla storia e ai materiali degli edifici del Karoo, una modalità di funzionamento dell’edificio in base al clima e una disposizione degli spazi che richiama il paesaggio, abbiamo sviluppato un linguaggio architettonico specifico del luogo, che genera esperienze e un modo di abitare basato sui sensi.
Ogni contesto richiede un approccio diverso. Nel centro di Londra costruiamo all’interno di una città densa che si è formata nel corso dei secoli. Il clima qui è temperato e in molti siti bisogna trovare un equilibrio tra privacy e apporto di luce naturale. Londra deve sempre di più far fronte agli effetti del cambiamento climatico e gli edifici che progettiamo ora probabilmente dovranno sostenere temperature e precipitazioni più elevate nei prossimi decenni. Progettiamo per collegare le persone alla natura e ai loro ambienti all’interno di questo contesto attraverso linguaggi appropriati per ogni sito.
La caserma dei vigili del fuoco di Westminster è un edificio protetto classificato Grade II del 1906. Il brief di progetto prevedeva la conversione dell’edificio esistente in un ristorante e in appartamenti, con l’aggiunta di un edificio per alloggi a basso consumo energetico nella corte sul retro. Eravamo consapevoli che il progetto era di portata più ampia: avremmo dovuto sviluppare una comprensione del luogo in questa parte di città e un linguaggio che creasse una connessione poetica tra l’edificio storico e la nuova struttura, oltre a progettare tenendo conto del cambiamento climatico, della luce e delle stagioni. Londra ha cieli straordinari che cambiano repentinamente, lunghi periodi di buio ma anche di sole intenso, e per molti di noi dello studio questi cieli mutevoli fanno parte dell’identità vivace e peculiare della città. Volevamo portare questo senso dei cicli naturali e della luce in questo progetto nel centro di Londra, per incorporare nella struttura dell’edificio la consapevolezza di un ambiente che cambia e per rendere omaggio alla nostra città.
Il linguaggio materico che abbiamo sviluppato per questo progetto proviene da diverse fonti: le fasce orizzontali dei numerosi edifici vittoriani ed edoardiani del quartiere Victoria; i pozzi di luce (a Londra spesso rivestiti di mattoni smaltati bianchi o color crema); la pietra Portland alla base della caserma; i mattoni smaltati che rivestono i vani motore e la scala; i corridoi aggettanti e i corrimano in ghisa sul retro dell’edificio esistente. Oltre a questo abbiamo tenuto conto dei vincoli fisici: il sito urbano, le proporzioni della caserma, il contenimento della corte, la vicinanza degli edifici limitrofi, ma anche la necessità di limitare il surriscaldamento dei prossimi decenni. Abbiamo anche aumentato la biodiversità e integrato il paesaggio e la natura attraverso fiori selvatici sul tetto e piante nella corte.
La caserma storica è permeata dal senso del tempo e dal lavoro manuale. Mattoni in argilla di diversi colori e tolleranze dimensionali creano texture variabili sulla facciata, mentre la pietra chiara definisce fasce orizzontali. Per il nuovo edificio siamo stati attenti a selezionare materiali che si rifacessero al linguaggio della struttura esistente ampliandolo. I mattoni smaltati dall’effetto perlato disposti orizzontalmente tracciano la geometria della facciata posteriore della caserma che dà sulla muratura variegata del nuovo edificio. Questo crea una trama sottile, riflette i colori mutevoli del cielo e richiama le strisce orizzontali della caserma e degli edifici della zona. Lo studio delle dimensioni e della disposizione delle aperture vetrate e l’uso di colori chiari per i mattoni e le pietre mitigano il surriscaldamento nelle giornate più calde, mentre l’orientamento dell’edificio massimizza il livello di luce naturale all’interno nei mesi invernali. Ogni cambiamento del cielo si riflette nel colore dell’edificio e collega l’esperienza del luogo a quella dello spazio circostante.
La dialettica di questo progetto si sviluppa a partire dalla storia, dalla texture, dalla reinterpretazione dei materiali e dall’inserimento delle prestazioni e della conoscenza consapevole dell’ambiente nel modo in cui l’edificio viene visto e vissuto, intrecciando questi elementi in un insieme curato rigorosamente per creare un luogo familiare e allo stesso tempo inaspettato.
Sempre nel centro di Londra, Crease House è un progetto completamente diverso con una quantità di alberi insolita per un sito urbano come questo, che formano un piccolo bosco urbano a sud del nuovo edificio. Il lotto di dimensioni ridotte sembra contrastare con la densità degli edifici adiacenti, per effetto del muro di mattoni del XIX secolo che lo circonda e degli alberi secolari al suo interno che fanno sembrare la casa un frammento di un tempo più antico, quando la natura era più presente in città.
Il linguaggio spaziale e materico si basa sul senso di un luogo che si è evoluto nel tempo, nonché sul legame tra la vita quotidiana nel nuovo edificio e gli alberi – la loro posizione, le loro caratteristiche e i loro cicli naturali. L’uso della tessitura muraria Monk Bond, tipica del XIII secolo, crea un delicato motivo verticale a catena, evocando, assieme agli alberi, una Londra antica che tuttavia esiste tuttora.
La forma dell’edificio è determinata dalla posizione esposta su un sito d’angolo e dalla creazione di un mondo appartato e privato, protetto dalla strada e con un ingresso di luce naturale controllato. Il prospetto ovest, più opaco e con aperture vetrate poste in alto, contrasta con le ampie finestre affacciate sugli alberi del prospetto sud. Qui, in estate, il fitto fogliame ripara dalla luce del sole gli spazi con vetrate a tutta altezza, introducendo nell’edificio un gioco di luci e ombre e prevenendo il surriscaldamento. In inverno, il sole basso penetra attraverso gli alberi fino all’interno, tracciando le ombre di ramoscelli e rami sul pavimento e sul corrimano in legno massiccio. Le diverse caratteristiche delle stagioni intensificano l’esperienza all’interno della casa e mettono in comunicazione i residenti con il mutevole ambiente esterno.
Anche i materiali della casa si rapportano ai colori e alle texture degli alberi: i mattoni grigi all’interno e all’esterno hanno un aspetto simile alla corteccia, mentre il noce europeo è stato tagliato in lastre di larghezza irregolare per poter utilizzare l’intero albero. I materiali non sono quindi semplici decorazioni superficiali ma elementi di base. La macchia di alberi fa risaltare la luce che penetra attraverso il fogliame, le radici, i tronchi e i rami che dal terreno scuro e argilloso si ergono fino al cielo. Spazi vuoti attraversano verticalmente l’edifico e collegano i piani inferiori a quelli superiori illuminati da lucernari, mentre una luminosità soffusa, le ombre e l’aspetto grezzo delle superfici inducono la sensazione di trovarsi nel giardino.
Per introdurre nella città il senso della natura, a ogni piano, in corrispondenza dei rientri e delle sporgenze dell’edificio, sono state installate delle fioriere che contengono sufficiente terreno per ospitare arbusti e graminacee creando una sorta di giardino interno. Lo studio dei materiali e degli spazi conferisce a Crease House riservatezza e intimità. L’edificio racchiude in sé apparenti contraddizioni – forme rettilinee e curve lignee, mattoni opachi e vetrate nascoste, senso del moderno e dell’antico – e accoglie sia l’intensità del sole estivo sia la luce fievole di una giornata invernale.
L’esperienza della casa è quindi legata a queste contrapposizioni volte a preservare e sviluppare il senso del tempo e della natura. Crease House è il frutto di un’analisi attenta relativamente a impronta di carbonio, longevità, manutenzione, privacy e apertura. L’impatto visivo dell’edificio deriva dall’equilibrio tra elementi apparentemente contrapposti, consentendo di stabilire una interrelazione con la natura all’interno della città.
Siamo convinti della capacità dell’architettura non solo di rispondere all’emergenza climatica dal punto di vista tecnico, ma di prendere anche coscienza del potenziale poetico rappresentato dalla presenza e dall’esperienza dei singoli individui. Gli edifici e gli spazi possono favorire connessioni intime e specifiche con il luogo nate dall’intreccio tra storia e natura. La nostra comprensione del clima non è esplicita, ma diventa lentamente evidente attraverso l’uso e l’abitabilità. Il legame che stabiliamo con la natura è determinato dalla sensazione di benessere e dal senso di responsabilità verso i luoghi che abitiamo.
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